venerdì 12 settembre 2014

Il Riccardo (Chailly) della 'Scala d'oro' non ha un cuore di leone

Abbiamo letto sul numero dell'Espresso in edicola, la prima intervista 'esclusiva' al nuovo direttore musicale del Teatro alla Scala dell'era Pereira ( che però rischia di concludersi anzitempo), che dal prossimo primo gennaio sarà direttore 'principale' al posto di Barenboim , che a maggio, dirigendo 'Turandot' ( di Puccini, con il finale di Berio), aprirà ufficialmente la stagione della 'Scala per l'Expo' e che dal 1 gennaio 2017 sarà direttore musicale del teatro milanese.
Per Chailly si tratta di un ritorno 'in famiglia', ma anche 'di famiglia'. Suo padre è stato direttore artistico della Scala nel triennio 1968-1971, e lui  Riccardo, Claudio Abbado volle come assistente per la stagione sinfonica nel 1972, che non aveva ancora vent'anni. Poi dicono che i debutti anzitempo sono un fatto di questi anni recenti, e che allora, al contrario di quel che accade oggi, le famiglie non contavano. Vero, anche a noi risulta che  non hanno mai contato, né oggi e neanche ieri!
 Comunque Chailly s'è costruita subito una grande carriera debuttando poco più che ventenne nei luoghi musicali che contano, nei due continenti e poi la chiamata a Salisburgo, da karajan in persona, per sostituirlo ai primi anni Ottanta - allora si disse perché non gli poteva far ombra, certo solo a causa della sua giovane età, per buona pace dei maligni - fino agli impegni importanti ad Amsterdam e Lipsia, ma con la mente e il cuore sempre a Milano, alla Scala da dove era partito, incarico che  da molto prima di ora egli  era convinto di meritare, anche per nascita.
 Appena ne avremo il tempo, ricopieremo l'intervista che gli facemmo per 'Piano Time', che all'epoca dirigevamo - in un pomeriggio piovoso  a Salisburgo, seduti ad un bar.
 Da questa intervista esclusiva non abbiamo appreso granché - prossimamente Chailly esponga senza timore le sue idee sulla Scala - salvo la sua intenzione, condivisa da Pereira, di ritornare alla tradizione che negli anni di Lissner-Barenboim - almeno per il grande repertorio italiano - sembrava essere stata accuratamente sepolta. Ha ragione Chailly quando dice che La Scala deve essere innanzitutto questo, che poi è ciò che è sempre stata. Ed anche ciò per cui il nome della Scala è noto nel mondo.
   Una delle poche novità è che lui vuole riportare  a Milano tutti quelli che non hanno ancora 'condotto' . I tram? E ' quella  becera mania che anche il suo intervistatore, Riccardo Lenzi, mostra da tempo,inglesizzando il nome ( conduttore) ed il ruolo ( conduce) del direttore d'orchestra, che poi fa il paio con quel modo altrettanto barbaro di indicare alcune opere, come il Requiem di Verdi che Chailly  preferisce sempre e comunque chiamare il 'Verdi Requiem'. Contento lui!
Viene toccato anche l'argomento 'loggione', sul quale Chailly è allineato a Pereira, sbagliando  come lui. Quando la Scala tornerà ad esser il primo teatro del mondo, gli artisti chiederanno, nonostante la marcatura a vista del loggione, di potervi cantare, suonare e dirigere. E' una legge banalissima.
Oggi vi sono grandi nomi  convinti di potersi costruire una carriera, girando alla larga dalla Scala, e forse hanno in parte ragione; ma quando la Scala tornerà ad essere il centro mondiale del melodramma italiano ( che è poi il repertorio fra i più alti di ogni tempo. cosa che Lissner e Barenboim hanno volutamente ignorato!) ciò non sarà più possibile, e questo vale  anche per Alagna come per la Bartoli ecc...
Noi, poi, vorremmo che a Milano come a Roma,  e Chailly vi ha appena fatto cenno, non vi fossero più lotte fra istituzioni che danneggiano tutti; sogneremmo che a Roma, ad esempio, Muti diriga l'Orchestra di Santa Cecilia come Pappano all'Opera; stessa cosa a Milano fra Scala, Verdi ed altre importanti realtà cittadine. Ma forse  questo è ancora lontano a venire, perchè i musicisti, anche sommi, sono uomini come tutti, con le loro miserie, meschinità, invidiuzze recondite.

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