sabato 26 aprile 2014

La fede non si mangia

Se il ministro Tremonti fosse ancora vivo - come ministro, s'intende - dovrebbe correggere quella sua panzana 'la cultura non si mangia' per evidente falsità e cattiva fede.
A proposito di fede - un argomento che in questi giorni  è all'attenzione del mondo intero, per la doppia canonizzazione di oggi -  Tremonti dovrebbe ammonire quanti da tempo, magari lui mai, mangiano la loro fede, meglio mangiano per la loro fede, e non attraverso la professione che svolgono.
Ci viene  in mente il documentario  di ieri trasemsso da Canale 5, un documentario su papa Giovanni Paolo II, realizzato da Sugar, nella persona di Caterina Caselli, nota religiosa di clausura che ha fatto tutti i voti possibili nella sua vita, dalla castità - che però a noi non interessa - alla povertà e all'obbedienza al dio mercato; in collaborazione con Alberto Michelini, altro notissimo religioso che  con il Vaticano ha fatto la sua fortuna di giornalista e poi di politico - ma  senza lasciare considerevole traccia nell'una come nell'altra- e con l'intervento di Andrea Bocelli che ha preso i voti nello stesso monastero della Caselli.  La nota religiosa Caselli i soldi se li deve procurare facendo l'editrice di musica e la discografica, Michelini  con il giornalismo e la politica, girando le spalle al Vaticano - e come campa? - e Bocelli cantando e  basta.
 Questo spettacolo ci fa venire in mente una nostra vita precedente, quando per i primi anni lavorativi abbiamo insegnato 'religione' in due scuole abbastanza tumultuose ma vivaci della Capitale, il Liceo Castelnuovo ed il Tecnico Fermi. L'abbiamo insegnata in conseguenza dei nostri studi teologici, che appartengono, anche quelli, ad una nostra vita precedente. Durante quegli anni - gli anni Settanta - la vita nelle scuole non era facile; ed ancor meno facile lo era per chi insegnava religione.
Avevamo letto in classe al Castelnuovo la corrispondenza fra l'allora vescovo di Ivrea, mons. Bettazzi, ed Enrico Berlinguer, sul  rapporto fra religione e marxismo, meglio gli eventuali punti comuni fra le due 'religioni', chiamiamole così, per semplificare. Qualche allievo,  benchè vivace e curioso,  faceva la spia al Vicariato di Roma, da cui dipendeva  la segnalazione ai presidi delle scuole per la nomina degli insegnanti di religione. Diceva al Vicariato che noi leggevamo  scritti di Berlinguer e Bettazzi , un vescovo comunista o in odore di eresia, e dunque guardato con sospetto. Puntuali arrivavano le telefonate 'esortative' del Vicariato: 'Professore, lasci stare, altrimenti l'anno prossimo non insegna più'. Non erano così brutali, ma ancora più ipocrite e dunque più fastidiose ed indigeste. Ciò che maggiormente ci feriva di quelle telefonate era proprio l'equivoco sul quale si fondavano,  e cioè che il Vicariato  esigesse da un professore di religione non la competenza in materia - e quella l'avevamo, notoriamente - bensì la sua obbedienza alle gerarchie. Insomma si insegnava non in nome della competenza, bensì della professione di fede. Dunque la fede ci dava da mangiare.
Quando avemmo la prima nomina come insegnante di Storia della Musica in Conservatorio avvertimmo un senso di liberazione: da quel momento in avanti mangiavamo in conseguenza della competenza musicale che, certamente, agli inizi della carriera era di molto inferiore a quella  che avevamo acquisito con studi regolari in fatto di religione , soprattutto nella teologia e sacra scrittura.
  Uno mangia attraverso l'esercizio della propria professione e non per la fede che professa.  Per questo ragione, quel documentario e moltissimi altri casi - un nome per tutti, Formigoni -ci hanno fatto ripensare a quella frase di Tremonti da correggere assolutamente. Perchè - come hanno dimostrato infinite ricerche scientifiche e di mercato, la cultura si mangia. ma la fede no. Come, invece, qualcuno continua a fare. L'ostentazione interessata della fede, che solitamente non si riflette nella vita degli interessati,  e che serve a molti solo per fare carriera con la spinta della gerarchia vaticana, ci RIPUGNA.
Così quando leggiamo che la nomina della Lorenza  Lei a direttore generale della RAI, e non solo la sua in RAI, ebbe la benedizione di Bertone, il lussuoso cardinale,  perdiamo la pazienza.

Nessun commento:

Posta un commento