lunedì 21 aprile 2014

Il rito delle multiinaugurazioni, inutile e costoso.

A Firenze come a Roma.  Nel dicembre 2011 la prima inaugurazione, con Francesca Colombo sovrintendente. Poi riaperto il cantiere, si tornò al vecchio Teatro Comunale. L'Opera di Firenze non era ancora agibile.
All'inizio del prossimo mese, nuova, seconda inaugurazione dell'Opera di Firenze, con un gala non più solo 'concertistico', ma con un piatto misto di melodramma (Tosca, Otello) e balletto ( torna a danzare, dopo un pentimento durato qualche tempo,  Alessandra Ferri). Poi dopo il nuovo bagno di folla di Renzi, e del nuovo commissario del teatro, suo strettissimo sodale, Bianchi, e della seconda inaugurazione de l'Opera di Firenze, si torna al vecchio Comunale , fino al prossimo novembre, quando ci sarà una terza inaugurazione con il Falstaff diretto da Mehta (che sembra agli sgoccioli come direttore musicale dell'orchestra del teatro, alla soglia degli ottant'anni; suo probabile successore Gatti) e con la regia di Ronconi. Sindaco della città non è più Renzi, ma potrebbe essere Nardella e non sappiamo se commissario sarà ancora Bianchi o ne arriverà un  altro, oppure si tornerà ad avere un sovrintendente, a teatro 'nuovo nell'edificio' e 'risanato nelle finanze'.
Poi dopo questa terza inaugurazione, l'Opera di Firenze tornerà ad essere cantiere, per la quarta e, si spera, ultima inaugurazione, che dovrebbe avvenire alla fine del 2015. Finora quattro inaugurazioni, ma non è detto che la quarta sia quella definitiva. A che servono tante inaugurazioni, una dopo l'altra, del medesimo edificio? E a chi, eventualmente?
 Firenze non insegna nulla di nuovo. Anche Roma seguì la stessa tecnica all'atto di inaugurare l'Auditorium costruito da Renzo Piano. In verità lo fece anche Venezia, per la Fenice ricostruita, ma lì di inaugurazione ve ne furono solo due, la prima con una serie di concerti sinfonici e il primo 'Concerto di Capodanno da Venezia' (contro la cui prosecuzione ha fiatato recentemente anche una pulce, un tempo famosa perché recensiva concerti senza andarci!), poi, a distanza di meno di un anno, la reinaugurazione del teatro, con una Traviata diretta da Maazel e con la regia di Carsen che ancora viene riproposta con identico successo di pubblico.
 A Roma, epoca Veltroni l'americano, le inaugurazioni furono tre. Prima la sala Sinopoli, poi la sala grande e poi, ripresi i lavori, Santa Cecilia si trasferì definitivamente , nel giro di un anno e mezzo dalla prima inaugurazione, nel nuovo auditorium. Erano gli anni della (spregiudicata) sovrintendenza di Berio, e la seconda inaugurazione, sancì la rottura definitiva fra il compositore ed il direttore Chung, a causa della inaugurazione della sala grande, battezzata 'Santa Cecilia', del dicembre 2012. Berio, già ammalato in quel periodo, ebbe parecchi contrasti con Roma; ma si sa che a lui non importava nulla del resto del mondo, credeva solo a se stesso.
 In tutti i casi, a che servono tante inaugurazioni? Servono, almeno o forse soltanto, a mantenere viva l'attesa  e l'attenzione generale sulle nuove sale o sui nuovi teatri. Perchè, si sa, in Italia gli incompiuti architettonici sono molto più numerosi dei manufatti completi ed agibili.
Ma servono soprattutto a chi governa le città o a chi siede al ministero, sebbene in quest'ultimo caso le figure che hanno occupato la poltrona di piazza del Collegio romano, siano state sbiadite ma non dal sole,bensì dalla loro inconsistenza inefficienza ed incapacità; e perciò a nulla sarebbero servite per la loro immagine.
 Non sappiamo a Firenze, ma a Roma, ricordiamo bene quelle esaltanti giornate inaugurali, durante le quali Veltroni, ma anche Gianni Letta, sottosegretario di Berlusconi, non mollarono mai neppure per un solo istante la loro poltrona in sala. Sembrarono tutti convertiti alla musica - lo diciamo per Veltroni, perchè Letta segue  i concerti ( mai che fosse venuto in mente a Berlusconi di fare un  salto all'Auditorium; lui no, si contentava di mandarci Letta, mentre pensava ad altri spettacoli ed in altri luoghi, perchè una sala da concerto o un teatro non è mai stata roba per lui).
Veltroni si prese tutto il merito del lavoro di altri, si trovò cioè l'Auditorium  bell'e fatto, si potrebbe dire. Comunque fu all'altezza della situazione. Finite le inaugurazioni, di Veltroni nelle sale da concerto dell'Auditorium, neanche più l'ombra, in questi ultimi dieci anni.
Ma certo quelle inaugurazioni giovarono alla sua carriera politica, anche se poi  finì tutto. Veltroni era noto , all'epoca, per il suo impegno giornaliero di sindaco inaugurante. Si raccontava, ironicamente, come ogni mattina giunto al Campidoglio, non domandasse mai l'ordine dei lavori in ufficio, bensì il calendario delle inaugurazioni giornaliere da presenziare.
 E Alemanno, che inaugura più volte il cosiddetto 'Ponte della Musica', altra inutile dispendiosa idea veltronianna, al punto che per una ulteriore inaugurazione pensa di intitolarlo ad un musicista romano ( Trovajoli) che nessuno o quasi nel mondo conosce, ma che a Roma aveva amici e seguito e perciò poteva assicurare alla sua traballante poltrona comunale, qualche puntello, dopo i vergognosi flop delle puttane tolte dalla strada (per finta), e  dei quattro fiocchi di neve che paralizzarono Roma? Sul ridisegno della toponomastica cittadina ebbe al suo fianco il celebre Mollicone,  a capo della Commissione cultura, sul quale anche Riccardo Muti, tirato in ballo, non seppe trattenersi dall'ironizzare ( 'a Roma conosco solo Morricone!)
Perchè sia chiaro, se il nostro paese non ha mai avuto rispetto della sua cultura,  del suo passato è semplicemente perchè non ha mai avuto governanti sinceramente convinti che il futuro dell'Italia sta proprio nel rispetto, custodia e valorizzazione del suo passato,  che è preludio alla creatività presente e  futura.. E  Renzi e Franceschini?

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